Biodegradabilità e Impatto Ambientale

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Biodegradabile (dal vocabolario Treccani on line): “nel linguaggio chimico e commerciale, di sostanza o prodotto che può subire la degradazione biologica o biodegradazione”.
Ma non è sempre vero che se una molecola è molto biodegradabile questo corrisponde automaticamente ad un minor impatto ambientale, ossia danneggia meno l’ambiente.
Per esempio, ci sono tensioattivi (la base lavante di tutti i detergenti) che sono molto tossici per gli organismi acquatici ma anche molto biodegradabili. Ma può avvenire anche il contrario, cioè poco biodegradabili ma anche poco tossici per gli organismi acquatici.

Per stabilire la BIODEGRADABILITA’ di una sostanza bisogna basarsi su calcoli e formule scientifiche, vengono cioè effettuati dei test. Non sono metodi statistici o strumentali, ma si basano invece sull’azione di batteri che si mangiano la sostanza. Quindi sarebbe molto più appropriato parlare di “tendenza” di biodegradabilità.
I test ufficiali secondo le linee guida OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) definiscono le varie classi di Biodegradabilità, indicandole con delle lettere. Per esempio, per quella Aerobica (cioè in presenza di ossigeno) sono: R = Rapidamente biodegradabile, I = Intrinsecamente biodegradabile, P = Persistente (cioè la sostanza non ha superato il testo di biodegradabilità intrinseca), O = La sostanza non è stata testata per biodegradabilità aerobica, NA = Non applicabile.
Già da questa prima distinzione, si nota che i termini completamente, 100% o totalmente biodegradabile non compaiono mai in questa tabella, proprio perché non c’è alcun metodo che dia un tale risultato.
Forse si potrebbe sostenere questa definizione se ci si riferisse ad una sostanza biodegradabile sia in comparto aerobiotico che anaerobiotico, ma dovrebbe essere chiaramente espresso. Quindi, ha un senso dire “con ingredienti rapidamente o velocemente biodegradabili”, ma di certo scrivere in etichetta “100% biodegradabile” non è proprio corretto.
Però la BIODEGRADABILITA’ non basta per conoscere l’IMPATTO AMBIENTALE. Serve anche conoscere la TOSSICITA’ verso gli ORGANISMI ACQUATICI.
Per calcolarla devo utilizzare la “DID list”, cioè il Detergents Ingredients Database, dove sono indicati tutti i valori di tossicità acuta, cronica e di degradazione di ogni singolo ingrediente.
Con questi valori potrò calcolarmi il CDV, cioè il volume di diluizione critica (tutte le formule sono presenti sul sito della Commissione Europea).
In pratica posso conoscere la quantità di acqua necessaria a diluire una determinata sostanza e a “neutralizzarla” affinché non ci sia nessun problema, né di natura acuta né cronica, per gli organismi acquatici.
Ed è così che si “scopre” che usare l’innocuo aceto per le pulizie domestiche, tanto consigliato sul web, diventa molto più inquinante che usare l’acido citrico.
Infine, oltre alla biodegradabilità e la tossicità verso gli organismi acquatici, c’è un ulteriore metodo oggettivo di valutazione e quantificazione dell’impatto ambientale di un prodotto, di un’attività o di un processo. È l’LCA (Life Cycle Assessement) ovvero l’analisi dell’intero ciclo di vita dell’oggetto (“dalla culla alla tomba”). L’LCA consente di determinare in modo scientifico quanto tale oggetto sia realmente sostenibile o “green”, tenendo conto dell’energia consumata per crearlo, delle sostanze immesse nell’ambiente, la CO2 prodotta, gli scarti di lavorazione, il consumo di acqua, i pesticidi usati, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale.
Per approfondire c’è l’articolo “Impatto ambientale aceto vs citrico: il calcolo scientifico”.

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